Un anno con i medici cubani in Calabria

Un anno con i medici cubani in Calabria

Un anno con i medici cubani in Calabria


Seguire per un anno i medici cubani arrivati in Calabria significa raccontare giorno per giorno la loro crescita, il loro ambientamento in un Paese straniero, le difficoltà, le paure e i successi. Significa osservare in presa diretta l’avventura dall’altro lato del mondo di questi 51 specialisti, arrivati dall’isola caraibica a dicembre del 2022 per aiutare la regione a fronteggiare l’emergenza sanitaria e la carenza di personale negli ospedali.

Un viaggio professionale ma anche e soprattutto personale, raccontato nel documentario “Medici dell’altro mondo”, prodotto da Gedi Visual e online sui siti delle testate Gedi. Dalle prime settimane di corso intensivo di lingua italiana all’Università della Calabria, nel freddo inverno di Cosenza, all’accoglienza al lavoro nelle strutture di Polistena, Gioia Tauro, Melito Porto Salvo e Locri. I primi mesi trascorsi vivendo in ostello o in hotel, poi finalmente in appartamento.

Per tutto il 2023 i professionisti cubani, 13 donne e 38 uomini, hanno vissuto lontano da casa. L’iniziativa è stata voluta dal presidente della Regione, Roberto Occhiuto, nel tentativo di far fronte alla cronica carenza di personale. Dodici mesi di lavoro intenso, lontani dalla famiglia e dagli amici. Alle prese con usanze e culture diverse, con una lingua straniera a cui adattarsi e con nuove terminologie e procedure mediche da memorizzare. Le attese per le immancabili videochiamate serali con i figli rimasti a Cuba, dettate dalle sei ore di fuso orario, ma anche le nuove amicizie con colleghi e pazienti. Alcuni nel (poco) tempo libero sono riusciti a visitare Venezia, Roma o la Sicilia, altri si sono avvicinati a comunità religiose per praticare la loro fede.

«Uno dei principi basilari della medicina cubana è la solidarietà. All’inizio è stato difficile soprattutto per la differenza linguistica. Ma poi ci siamo ambientati, con i colleghi italiani lavoriamo bene e i pazienti ci ringraziano sempre. I calabresi sono molto simili a noi cubani», racconta Lianne Gutierrez davanti a un caffè. Lei e suo marito, Julio Cesar Guerra, hanno trovato una casa in affitto a pochi minuti a piedi dall’ospedale di Gioia Tauro e lavorano insieme nel reparto di medicina generale.

Molti di loro, dopo l’italiano, hanno imparato anche qualche parola in dialetto calabrese. «La mia espressione preferita è “focu miu”, la sentivo dire da tutti ma all’inizio non capivo il significato. Adesso ho capito che si usa come esclamazione per dire che una cosa non va bene», spiega Dayli Ramos, specialista in radiologia.

E poi, alla fine di un anno di fatica e soddisfazioni, i saluti, i regali da comprare e il tanto atteso rientro a Cuba per le vacanze. «Ognuno di loro si sta portando almeno due valigie e un televisore. Secondo me non li fanno neanche salire in aereo», scherza Antonella Fiorenzi, che da paziente è diventata grande amica dei dottori cubani all’Ospedale di Locri.

Dopo queste due settimane a casa, li aspetta un altro anno di lavoro in Calabria. Ma c’è anche chi non tornerà. Per Danay Tourt, dottoressa di medicina generale, l’avventura è finita: «L’Italia mi è piaciuta, è stata una bella esperienza. Ma ho deciso di non tornare, la mia famiglia mi è mancata troppo. Voglio rimanere a Cuba con i miei due bambini e vederli crescere giorno per giorno».



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[email protected] (Redazione Repubblica.it) , 2024-06-18 06:41:03 ,www.repubblica.it

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